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La posizione internazionale di Pyongyang

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Nel “regno eremita” della Corea del Nord è ormai iniziato il processo che porterà alla successione di Kim Jong-il: lo scorso 28 settembre, in occasione del congresso del Partito dei Lavoratori (il primo dopo 44 anni), si è registrata la nomina come generale a quattro stelle del terzogenito del “caro leader”, il ventisettenne Kim Jong-un. Tale nomina sembra essere una manovra di avvicinamento a quel potere militare che è il vero pilastro del regime nordcoreano, sempre più isolato nel contesto internazionale.

I cardini del regime nordcoreano e i motivi del suo persistente isolamento internazionale (si veda anche dal sito di Eurasia: Corea del Nord, uno Stato Parassita?)

Quando ci si riferisce al regime nordcoreano si sente spesso parlare di “Songun” (militari al primo posto) e “Juche” (autosufficienza). Il termine “Songun” fu di fatto inventato negli anni Novanta da Kim Jong-il; dietro a tale concetto c’era l’idea del programma nucleare che, a differenza del padre, il “caro leader” è effettivamente riuscito a sviluppare. Kim Il-sung aveva tentato di dotarsi di armi nucleari con l’intento di avere una difesa contro la potenza Usa, ma i russi si opposero sempre a tale disegno. Va detto che egli è stato probabilmente il leader più amato dalla popolazione nordcoreana, anche perché nella fase post-coloniale riuscì a creare uno Stato tra i più industrializzati dell’Asia. Poi ci fu il declino per vari motivi, primo fra tutti la drastica riduzione degli aiuti, soprattutto delle esportazioni di greggio, forniti dall’Unione Sovietica di Gorbacev.

La Corea del Nord è un Paese molto più legato alla tradizione confuciana rispetto alla Corea del Sud ed è inoltre enormemente militarizzato: basti pensare che vi sono un milione e duecentomila soldati, più sette milioni di riservisti, su una popolazione di ventidue milioni di abitanti. E’ infine un Paese in cui sembra esplicarsi un controllo pressochè totale della popolazione e dell’informazione, incentrata costantemente sulla diffusione dell’idea che il popolo nordcoreano stia combattendo contro il Paese più potente del mondo, al punto che anche la guerra di Corea viene tuttora interpretata come aggressione americana.

Dal punto di vista strettamente geopolitico la Corea del Nord assume una posizione rilevante: infatti uno dei principali punti di frizione tra Washington e Pechino riguarda proprio il problema nordcoreano, perché investe la geopolitica dell’intera regione. Malgrado gli apparenti inviti al dialogo, gli Stati Uniti stanno ancora perseguendo la politica di Bush incentrata sulla realizzazione di basi militari in Giappone, mostrando un atteggiamento tra l’ostilità e l’oblio, al quale, soprattutto nell’ultimo anno, ha fatto da contraltare la scelta della Cina di mandare sempre più aiuti: si parla di un aumento del duecento per cento negli ultimi dieci mesi. La Cina è il grande tutor nordcoreano, l’unico Stato che in questo momento aiuta sia politicamente che economicamente la Corea del Nord. Pechino si comporta in questo modo pur disapprovando il regime dei Kim, cui rimprovera da anni di non realizzare le necessarie riforme, che probabilmente la leadership nordcoreana non vuole attuare per timore di perdere il controllo sulla popolazione. L’interesse della Cina è molto chiaro: non vuole la destabilizzazione della Corea del Nord perché ciò significherebbe un enorme flusso di profughi nordcoreani nelle sue regioni nord-orientali, nonché la presenza degli americani alle porte di casa. Chiaramente gli Usa hanno interessi opposti. Anche la Russia, con Putin, ha cercato di riallacciare buone relazioni con la Corea del Nord, ma avendo meno soldi da spendere rispetto alla Cina, di fatto consente a quest’ultima di giocare in casa.

La questione della riunificazione coreana: la posizione cinese

In tale contesto occorre spendere qualche parola per descrivere brevemente la posizione cinese rispetto all’annosa questione della riunificazione coreana; attualmente l’interesse dominante di Pechino sembra essere quello di una penisola coreana stabile e libera dalla presenza militare straniera, in primo luogo statunitense. La Cina, da questo punto di vista, percepisce la riunificazione coreana con una chiara ambivalenza: da un lato la riunificazione consentirebbe la pace e la stabilità nella penisola e in tutto il nord-est asiatico (ciò risulta fondamentale se si pensa che in passato situazioni di instabilità nella penisola coreana hanno sempre avuto ripercussioni negative sulla Cina: basti citare la guerra sino-giapponese  del 1894-95 o la Guerra di Corea del 1950-1953). Inoltre potrebbe portare al ritiro delle forze militari statunitensi dalla Corea del Sud, permettendo tra l’altro il costituirsi di una Corea unita magari in grado di contrastare il Giappone in Asia Orientale. Dall’altro lato, però, la Cina è fortemente incerta riguardo al futuro delle relazioni militari tra Stati Uniti e Corea del Sud ed alle conseguenze politiche ed economiche di una rapida riunificazione. Quest’ultima, infatti, unitamente alla probabile scomparsa del regime di Kim Jong-il, potrebbe forse far diminuire l’influenza di Pechino nella vicina penisola, eventualità assolutamente non gradita ai cinesi. Non bisogna poi nemmeno accantonare l’ipotesi che una Corea unita possa stringere un’alleanza, soprattutto militare, con gli Stati Uniti, il che sancirebbe l’inutilità della partecipazione cinese alla Guerra di Corea nonchè degli sforzi successivi per sostenere il governo di Pyongyang.

Proprio per questi motivi, almeno per il momento, il governo di Pechino sembra anteporre la stabilità della penisola coreana all’esigenza di una Corea riunificata.

La Corea del Nord e la comunità internazionale: la questione del programma nucleare di Pyongyang

Il processo di distensione dei rapporti tra la Corea del Nord e la comunità internazionale resta ancora oggi legato soprattutto al rispetto, da parte della Corea del Nord, degli impegni assunti in merito all’abbandono del programma nucleare, sul quale permangono forti incertezze, determinate proprio dal comportamento ambiguo ed ondivago assunto sin qui dal paese asiatico. Già a seguito della firma dell’Accordo Internazionale di Pechino del febbraio 2007, alcune tensioni segnarono nuovamente i rapporti tra Pyongyang e Seul a causa dell’espulsione dalla Corea del Nord di alcuni funzionari sudcoreani e soprattutto del lancio di missili nel Mar Giallo per così dire “a scopo dimostrativo”. Ciononostante, le speranze per una Corea del Nord finalmente denuclearizzata riaffiorarono nei mesi successivi, allorchè il governo nordcoreano fornì agli Stati Uniti e poi alla Cina gran parte delle informazioni richieste sul programma nucleare condotto negli ultimi anni (soprattutto concernenti il plutonio riprocessato o arricchito per le armi nucleari), distruggendo inoltre una torre di raffreddamento nel suo reattore principale di Yongbyon. Gli Stati Uniti a loro volta promisero di “depennare” la Corea del Nord dalla lista degli “stati canaglia” e revocarono alcune sanzioni contro il paese. Successivamente Stati Uniti, Cina, Russia, Corea del Nord, Corea del Sud e Giappone annunciarono un altro accordo che consentiva agli ispettori internazionali di visitare le installazioni nucleari nordcoreane; in cambio il paese asiatico avrebbe ricevuto assistenza finanziaria ed energetica.

I progressi fatti sulla via del disarmo nucleare sembrarono subire una brusca frenata allorchè le autorità nordcoreane minacciarono di riaprire l’impianto per l’arricchimento del plutonio di Yongbyon ed allontanarono gli ispettori delle Nazioni Unite. Tale iniziativa seguiva le proteste dei nordcoreani per il mancato rispetto della promessa degli Stati Uniti di escludere il Paese dalla lista delle nazioni che favoriscono il terrorismo internazionale. La partita a scacchi diplomatica proseguì con il suo imprevedibile andamento nell’ottobre 2008, quando il Dipartimento di Stato americano tolse effettivamente la Corea del Nord dalla sua lista degli stati che sponsorizzano il terrorismo, ma solo dopo che il Paese consentì agli ispettori internazionali l’accesso all’impianto nucleare di Yongbyon impegnandosi a continuare il processo di smantellamento della sua infrastruttura per il trattamento del plutonio. La lenta chiusura del programma nucleare della Corea del Nord giunse ad una nuova fase di stallo nell’aprile del 2009, quando la Corea del Nord lanciò quello che ha detto essere un satellite, ma che altri governi hanno sostenuto fosse un test per un missile a lunga gittata. Sebbene il lancio si rivelò un sostanziale fallimento, la comunità internazionale condannò duramente il gesto della Corea del Nord, che, come risposta, abbandonò i colloqui per il disarmo e, dopo aver espulso gli ispettori dell’ONU, annunciò la ripresa del programma nucleare, aprendo una fase di stallo protrattasi sino ad oggi e di difficile risoluzione rispetto alla quale si spera che l’ormai chiaro ma lento “cambio di guardia” al vertice dello Stato nordcoreano possa portare ad un atteggiamento meno intransigente e più dialogante con la comunità internazionale e nei confronti di un’eventuale ipotesi di riunificazione “alla pari” della penisola coreana.

Riferimenti

Demick, Barbara. Nothing to Envy: Real Lives in North Korea. Granta: 2010.

Haggard, S. – Noland, M. Famine in North Korea: Markets, Aid, and Reform. Columbia University Press: 2007.

Cumings, Bruce. Inventing the Axis of Evil: The Truth About North Korea, Iran, and Syria. New Press: 2006.

Chang, Gordon. Nuclear Showdown: North Korea Takes on the World. Random House: 2006.

Whan Kihl, Young. North Korea: The Politics of Regime Survival. M. E. Sharpe: 2006.

Breen, Michael. All’ombra del dittatore grasso. La Corea del Nord e il peso di Kim Jong-il. Isbn Edizioni: 2005.

Beal, Tim. North Korea: The Struggle Against American Power. Pluto Press: 2005.

Cumings, Bruce. North Korea: Another Country. New Press: 2004.

Kim, Samuel S. North Korea Foreign Relations in the Post-Cold War Era. New York, Oxford University Press: 1998.

* Alessandro Daniele è dottore in Relazioni e Politiche Internazionali (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”)

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