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Brasile e Venezuela, due processi elettorali cruciali per questo autunno

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fonte: http://www.lahaine.org/index.php?p=47578

Le prossime elezioni eserciteranno, per tutta il secondo decennio di questo secolo, un impatto decisivo nella politica, nell’economia e nelle relazioni dell’America Latina con gli Stati Uniti.

Introduzione

Quest’autunno, l’America Latina sarà protagonista di due importanti processi elettorali, decisivi nel designare la direzione della politica estera ed economica della regione per il prossimo decennio.

Le elezioni legislative venezuelane del 26 ottobre determineranno se il presidente Chávez sarà capace di ottenere la maggioranza dei 2/3, necessaria per la continuazione del suo programma social-democratico, senza che questo subisca, durante il percorso, i blocchi continui imposti da una destra sempre più forte.
Il Brasile, ovvero, l’economia industriale ed esportatrice di prodotti agrari più forte e dinamica della regione, affronterà le elezioni presidenziali il 3 di ottobre.
In entrambi i Paesi l’elettorato è molto polarizzato, sebbene nel secondo caso non si strutturi intorno l’asse socialismo-capitalismo.
In Venezuela, la destra mira a frenare nuovi processi di nazionalizzazione di industrie strategiche, a fomentare la destabilizzazione promuovendo la disobbedienza e il sabotaggio delle iniziative politiche di base delle comunità locali, ed imporre restrizioni al budget di spesa dei programmi sociali e dei finanziamenti pubblici. L’obiettivo strategico della destra venezuelana è quello di incrementare la penetrazione istituzionale dell’esercito, i servizi di intelligence e le agenzie di aiuti statunitensi, col fine di ridurre le iniziative della politica estera indipendente promossa dal presidente Chávez e far pressione sul suo governo affinché svolga concessioni alla Casa Bianca, soprattutto, indebolendo i rapporti con l’Iran, la Palestina, e specialmente i rapporti con le organizzazioni politico-economiche indipendenti dell’America Latina che escludono la presenza di Washington (MERCOSUR, ALBA, UNASUR).

Elezioni presidenziali: Brasile

In Brasile, il confronto si gioca fra la candidata del Partito dei Lavoratori, Dilma Rousseff, sostenuta dal presidente uscente Lula Da Silva, e l’ex governatore dello Stato di San Paolo, leader del Partito Socialdemocratico Brasiliano, José Serra.
Le etichette del partito sono irrilevanti dato che ambo i candidati hanno promosso e stanno proponendo di continuare con una politica di sviluppo agro-minerale, di libero commercio esortato dalle esportazioni, ed entrambi sono spalleggiati dalle élite imprenditoriali e finanziarie. Nonostante, però, i legami con queste ultime, ed evitando ogni tipo di trasformazione radicale (o anche solo moderata) ad un sistema di distribuzione di ricchezza e proprietà delle terre, enormemente disuguale, sono presenti alcune differenze di pensiero, primarie, che determineranno il risultato: 1) l’equilibro di forze del continente americano, 2) la capacità di movimenti sociali brasiliani di articolare liberamente le loro richieste, 3) il futuro dei regimi di centro-sinistra dei Paesi vicini (in particolar modo Bolivia, Venezuela e Argentina), 4)i consorzi di capitale pubblico e privato riservati ai campi petroliferi appena scoperti, di fronte ai suoi costi.Serra sposterà la politica estera verso un maggiore adeguamento agli Stati Uniti, indebolendo o rompendo i rapporti con l’Iran e riducendo o addirittura eliminando i programmi di investimento congiunti a Bolivia e Venezuela; tuttavia, non modificherà le politiche commerciali e di investimento verso l’estero per quel che riguarda l’Asia.
Proseguirà con le politiche di libero commercio di Lula con l’intenzione di diversificare i mercati (salvo riguardo ciò che gli Stati Uniti definiscono “minacce” geopolitiche o in cui ripongono interessi militari) e promuoverà le esportazioni del settore agrario ed energetico-minerario; manterrà la politica di Lula di surplus di bilancio e di risanamento dei conti pubblici e di reddito.
In ambito sociale è probabile che le politiche di Serra approfondiranno e amplieranno i tagli alle pensioni pubbliche e continueranno con un criterio di restrizione salariale, in modo da ridurre la spesa pubblica, specialmente nell’educazione, nella sanità e nella lotta contro la povertà.
Per la questione fondamentale dello sfruttamento dei nuovi giacimenti di gas e petrolio, Serra ridurrà il ruolo dello Stato (e la sua partecipazione nell’entrata, nei benefici e nelle proprietà) a favore delle imprese petrolifere estere private; è meno probabile che promuova accordi con i dirigenti sindacali e che ricorra ad una maggiore repressione “legale” degli scioperi o alla criminalizzazione dei movimenti sociali rurali, soprattutto quelli di occupazione di terre del Movimento dei Senza Terra (MST).
In ambito diplomatico si avvicinerà maggiormente agli Stati Uniti e alle sue politiche militari, senza mostrare sostegno evidente negli interventi militari diretti; un segnale, da parte di Serra, di condivisione al programma di Washington, già si aveva avuto nel momento in cui l’ex governatore di San Paolo indicò il governo riformista della Bolivia come uno “Stato narcotrafficante”, facendosi eco della retorica Hillary Clinton, in forte contrasto con i rapporti amichevoli fra Brasile e Bolivia durante il mandato di Lula.
Di sicuro Serra respingerà ogni tipo di iniziativa diplomatica indipendente che sia in conflitto con le aspirazioni militari statunitensi.La campagna elettorale della Rousseff, in sostanza, promette di mantenere le politiche economiche e diplomatiche di Lula, includendo l’attuazione di una proprietà pubblica maggioritaria dei nuovi giacimenti di petrolio e gas, lo sviluppo di programmi di lotta contro la povertà e alcuni margini di tolleranza (non sostegno) ai movimenti sociali come l’MST o i sindacati.In altre parole, le alternative sono: compiere un passo indietro e regredire alle politiche repressive e conformiste degli anni ’90, o mantenere lo status quo del libero mercato, di una politica estera indipendente, dei programmi di lotta contro la povertà e di una maggiore integrazione con l’America Latina.
Se vince Serra, l’equilibrio di forze in America Latina si sposterà verso destra e, con esso, si riaffermerà l’influenza e la capacità di azione verso tutti gli Stati vicini di centro-sinistra.
In politica interna continuerà a percorrere, grossomodo, i passi di Lula, amministrando programmi di lotta contro la povertà, tramite i suoi funzionari,e assicurandosi di indebolire il sostegno a Lula da parte dei movimenti sociali.
Con opzioni così limitate, Serra gode dell’appoggio delle principali associazioni impresarie di San Paolo(anche se alcuni protagonisti del mercato economico promuovono entrambi i candidati), mentre nell’orbita della Rousseff sono presenti tutti i principali sindacati; inoltre, i principali movimenti sociali come l’MST, seppur sentendosi traditi dal mancato compimento della riforma agraria promessa da Lula, stanno svolgendo una campagna anti-Serra, appoggiando indirettamente la Rousseff.
Il detto, secondo il quale “l’America Latina va dove va il Brasile” ha qualcosa in più di un pizzico di verità, soprattutto se analizziamo il futuro e le prospettive economiche di maggiore integrazione della regione.Elezioni legislative: Venezuela

Il Venezuela di Chávez è la chiave per le prospettive di cambiamento sociale progressista in America Latina. Il governo social-democratico sostiene i regimi riformisti dell’America Latina e dei Caraibi, e con la sua spesa pubblica ha consolidato evoluzioni pionieristiche nell’ambito della salute dell’educazione e nella distribuzione di sussidi alimentari, distribuiti per il 60% dei settori più poveri della popolazione. Nonostante, l’immensa popolarità di Chávez durante l’intero decennio di governo, i programmi innovatori di ridistribuzione e i cambi strutturali progressisti, esiste il rischio evidente e imminente che la destra realizzi progressi significativi nelle prossime elezioni legislative.

Il Partito Socialista Unito del Venezuela ( PSUV), guidato dal presidente Chávez, ha dalla sua parte sei anni di attività chiusi con: un tasso di crescita elevato, un aumento delle entrate e un declino del tasso di disoccupazione. Di contro giocano, invece, i 18 mesi di recessione in corso,un tasso d’inflazione e criminalità molto alto ed una restrizione di fondi a disposizioni che limitano l’avvio di nuovi programmi.

Secondo i documenti dell’agenzia ufficiale di aiuti esteri statunitense, durante il periodo precedente la campagna elettorale venezuelana, Washington avrebbe depositato più di 50 milioni di dollari nelle casse di un’opposizione controllata da “fronti” politici e ONG – promotori degli interessi statunitensi – concentrandosi nell’unificazione delle fazioni oppositrici, sovvenzionando il 70% dei mezzi di comunicazioni privati e finanziando organizzazioni comunitarie controllate dall’opposizione, situate nei quartieri di classe media e bassa. A differenza degli Stati Uniti, il Venezuela non esige che i destinatari dei fondi provenienti dall’estero, operanti in nome di una potenza straniera, siano registrati come agenti stranieri.

La campagna della destra si focalizza sulla corruzione del governo e nel traffico di droga, orientamento ispirato dalla Casa Bianca e dal New York Times, dimenticando di segnalare che il pubblico ministero generale del Venezuela ha annunciato l’apertura di processi giudiziari contro 2700 casi di corruzione e 17000 casi di traffico di droga. L’opposizione e il Washington Post indicano che il sistema di distribuzione statale (PDVAL) ha fallito nella consegna di diverse migliaia di tonnellate di cibo, causandone il marciume e lo scarto, non contando, però, che tre dei precedenti direttori sono attualmente in carcere e che il Ministero dell’Alimentazione somministra nel paese 1/3 degli alimenti base per il consumo, ad un prezzo del 50% inferiore ai prezzi imposti dai supermercati privati.
Senza dubbio, la destra realizzerà progressi significativi alle prossime elezioni legislative, semplicemente perché parte da una situazione esigua, il suo minimo, dovuta anche al fatto di aver boicottato le ultime elezioni. Non è comunque probabile che la campagna contro la corruzione prevarichi la maggioranza di Chávez, vista anche la condanna, inflitta al suo ultimo leader, l’ex presidente Carlos Andrés Perez, per frode di migliaia di milioni di dollari a causa di appropriazioni illecita di fondi pubblici. Allo stesso modo, i governatori e i sindaci oppositori sono stati accusati di frode e malversazione di fondi, rifugiandosi a Miami.
Tuttavia, anche se la maggior parte degli elettori considera Chávez onesto e pulito, la stessa cosa non può essere detta per alcune cariche pubbliche del suo governo.
La domanda, quindi, è se i votanti siano disposti a rieleggerli, pur di sostenere Chávez ,nonostante i loro precedenti, o se preferiranno astenersi. E proprio un’astensione nata dal disincanto, e non da un giro elettorale a destra, rappresenta la minaccia maggiore ad una vittoria decisiva del PSUV.

Nella corsa verso le elezioni legislative, il PSUV ha festeggiato la vittoria alle primarie, in cui molti consigli comunitari hanno eletto candidati locali e popolari, sopraffacendo quelli scelti “dall’alto”. Di certo, una vittoria dei primi rafforzerebbe i settori socialisti del PSUV in contrapposizione ai moderati.
Il processo elettorale è molto polarizzato lungo quelle che sono le principali demarcazioni delle classi sociali, in base alle quali la maggioranza delle classi più basse sostengono il PSUV, mentre le classi medie e alte appoggiano quasi uniformemente la destra politica.
Esiste, comunque, un settore significativo fra le classi più povere e i sindacati, che si trova in una posizione di indecisione, poco motivata ad esprimere il proprio voto. Magari saranno loro stessi a decidere il risultato finale in distretti elettorali importanti, ed è proprio in questo campo che la campagna elettorale si fa più dura.
Per la vittoria del PSUV, oltre ai sindacati, è fondamentale che i comitati delle fabbriche gestiti dai lavoratori e i consigli comunitari si sforzino seriamente affinché gli elettori più reticenti votino per i candidati di centro-sinistra. Perfino i sindacalisti militanti e le organizzazioni di base di lavoratori si sono visibilmente concentrati a discolpare (questioni salariali) “locali” e “economicisti” o a ignorare le questioni politiche più generali.
Il loro voto e la loro attività come leader di opinione, incaricati di mostrare “il panorama globale”, sono fondamentali per vincere l’inerzia politica, oltre che la delusione verso alcuni candidati del PSUV.Conclusione

Le prossime elezioni in Brasile e Venezuela eserciteranno un impatto decisivo nella politica di Stato, nella politica economica e nelle relazioni dell’America Latina con gli Stati Uniti, per tutta la seconda decade di questo secolo. Se il Brasile “gira a destra”, rafforzerà enormemente l’influenza statunitense nella regione, mettendo a tacere una voce indipendente. Anche se nessun candidato compierà grandi passi verso una migliore giustizia sociale, se a essere eletta sarà la candidata Dilma Rousseff, si procederà comunque verso una maggiore integrazione latinoamericana e internazionale, relativamente indipendente. Vincere non aprirà, quindi, la porta a nessun cambiamento strutturale con grandi conseguenze.

Una vittoria dei socialisti venezuelani rafforzerà la determinazione di Chávez e la sua capacità di proseguire con le sue politiche di benessere sociale, contro l’imperialismo, e di sostegno all’integrazione. La posizione ferma del presidente venezuelano nell’opporsi alla militarizzazione statunitense, incluso il colpo di Stato in Honduras e le basi militari USA in Colombia, animano i regimi di centro-sinistra ad adottare un atteggiamento moderato, ma allo stesso tempo stabile contro la presenza militare degli Stati Uniti. Le riforme di Chávez in Venezuela esercitano pressione affinché i regimi di centro-sinistra introducano mezzi legislativi di riforma sociale e promuovono programmi di lotta contro la povertà e la creazione di consorzi pubblico-privati, invece di seguire i mezzi neo liberali della destra pro statunitense più dura.
Mentre in Brasile si tratta di votare per il male minore, in Venezuela l’indecisione è sul votare il bene maggiore.

Traduzione di Stefano Pistore (Università dell’Aquila. Contribuisce frequentemente al sito di Eurasia)


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